IL VANGELO DEI SEMPLICI" a cura di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
GIOVANNINO GUARESCHI
ALL' "ANONIMA"
riletto da Giacomo Biffi
DAL VANGELO DI MATTEO (5, 37) Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
ALL' "ANONIMA"
Fioccava che Dio la mandava, ma lo Smilzo, piuttosto di usare l'ombrello, simbolo della reazione borghese e clericale, si sarebbe fatto scannare. D'altra parte, se si fosse messo il cappello, come sarebbe entrato? Tenendoselo in testa o cavandoselo? "Entrare in casa di un nemico del popolo tenendo il cappello in testa è, sì, un atto fiero, adeguato alla dignità del popolo : però è provocatorio. Entrare in casa di un nemico del popolo togliendosi il cappello non è un atto provocatorio, però è servile e umiliante : quindi dannoso alla causa del popolo. L'unico modo per conservare la propria dignità senza, per questo, assumere atteggiamenti provocatori è quello di andare in casa dei nemici del popolo senza mettersi il cappello. Si serve la causa del popolo anche prendendo un raffreddore. Ogni azione rivoluzionaria comporta dei sacrifici". Così pensò lo Smilzo e perciò, quando entrò in canonica, era fiero senza essere provocatorio : però aveva la testa piena di neve.
"Ciao, Gennaio" gli disse don Camillo. "Nevica anche sul partito?" "Può darsi" rispose con voce ferma lo Smilzo. "Però presto verrà il sole anche per il Partito". "C'è scritto sul Solitario Piacentino?" si informò don Camillo. Lo Smilzo assunse un'aria notevolmente annoiata. "Dice il capo che, se nel Piano Marshall non esiste nessuna clausola in contrario, vorrebbe parlarvi". "Bene" rispose don Camillo. "Digli pure che io non ho cambiato casa : abito sempre qui". Lo Smilzo ebbe un risolino, di quelli tutti da una parte e col singhiozzino sotterraneo. "Fin che dura!...A ogni modo, siccome si tratta di cose strettamente personali e siccome voi non volete andare da lui, mentre la sua dignità non gli permette di venire qui a riverirvi, il capo ha organizzato un incontro in campo neutro. Vi aspetta all' "Anonima" ".
L' "Anonima" era un gran baraccone fuori dal paese : un tempo era stato una fabbrica di salsa di pomodoro. Roba impiantata nel 1908 e che aveva funzionato per una decina d'anni. E siccome sul frontale c'era scritto "Società Anonima Conserve Alimentari" la gente trovò che l' "Anonima" rendeva l'idea meglio di tutto il resto e con tal nome battezzò la baracca. Ora la fabbrica, abbandonata da anni e annorum, funzionava semplicemente da ricordo di giovinezza per i più vecchi e da "centrale giochi" per i più giovani.
Don Camillo infilò gli stivaloni e andò a pestar neve e lo Smilzo lo seguì, ma, duecento metri prima di arrivare, si fermò e tornò indietro. "Così nero in mezzo alla neve fate un bell'effetto" osservò lo Smilzo quando fu lontano una ventina di metri. "Stareste proprio bene in Siberia. Vi terremo presente reverendo". "Tu invece staresti bene all'Inferno" borbottò don Camillo.
Peppone era ad aspettarlo sotto una tettoia e aveva acceso un bel fuoco e si stava scaldando, seduto su una cassa sgangherata. Don Camillo spinse col piede una cassa vicino al fuoco e si mise a sedere di fronte a Peppone. Rimasero lì un bel po' ad arrostirsi le mani in silenzio. Poi Peppone levò la testa e disse con voce aggressiva : "Qui bisogna venire a una conclusione. E' una storia che non può funzionare". "Quale storia?" si informò don Camillo. "E quale deve essere? Quella della Messa!" spiegò sgarbato Peppone. "Ecco : i compagni hanno apprezzato molto il vostro gesto della Vigilia di Natale. Il fatto del clero che esce dal suo isolamento e va a bussare alla porta del popolo ha un valore. Sta a significare che Dio capisce finalmente l'importanza del popolo e allora va lui a cercare il popolo. Dio fa un'autocritica, riconosce le sue deviazioni ideologiche e il popolo allora apre la porta a Dio e gli perdona. Dio insomma diventa veramente democratico : non più il popolo che deve andare alla Casa di Dio, ma Dio che va alla Casa del Popolo".
Don Camillo tirò su uno stecco dal fuoco e si accese il sigaro. "Siete una manica di porci" disse don Camillo con calma. "Approfittate di uno stupido come il sottoscritto, che in un momento di debolezza ha commesso una fesseria, per gonfiarvi di boria e bestemmiare il nome di Dio". Peppone lo guardò perplesso. "Non avete commesso nessuna fesseria, reverendo. C'è scritto sui vostri libri che il buon pastore lascia il gregge nell'ovile e poi va in giro di notte a cercare la pecorella smarrita". Don Camillo scosse il capo. "Sì, ma non c'è scritto che poi la pecorella, per ricompensarlo, gli dice le eresie che hai detto tu. Voi non siete delle pecorelle : siete una mandria di bufali. Io non sono venuto a dire la Messa alla vostra Casa del Popolo perchè c'era il Padreterno che vi cercava. Io sono venuto per aiutare voi a cercare Dio, per aiutarvi a ritrovarlo. Dio non ha bisogno di voi, siete voi che avete bisogno di Dio". "Io non avevo intenzione di offendervi" obiettò Peppone. "E neanche mi hai offeso" replicò duramente don Camillo. "Però hai fatto ben di peggio : hai offeso Dio!". Peppone fece un gesto d'impazienza. "Reverendo" esclamò "non ricominciamo la solita storia di buttare in politica tutto! Lasciamo stare la tattica del vittimismo! Non facciamo ragionamenti abulici!".
Don Camillo guardò preoccupato Peppone. "Cosa intendi per "ragionamenti abulici"?" domandò. Peppone si strinse nelle spalle. "Cosa intendo per ragionamenti abulici? E cosa volete che voglia dire? Ragionamenti abulici! Ragionamenti così, insomma!" concluse agitando le braccia. Don Camillo scosse il capo. "Se intendi dire una cosa di quel genere, allora "abulico" è un aggettivo che non va bene. "Abulico" significa..." Peppone fece un'alzata di spalle e lo interruppe : "Reverendo, l'importante è che ci si capisca! Non è il caso di fare delle discussioni di letteratura. Tanto, la letteratura è una porca faccenda che serve soltanto per imbrogliare le idee, perchè va a finire che uno, invece di dire quello che vorrebbe dire lui, dice quello che vuole la grammatica e l'analisi logica. E, a un bel momento, non ci capisce più dentro niente neanche quello che parla. Se io, porcaccio mondo, nei comizi potessi fare dei discorsi in dialetto, me la sbrigherei in metà tempo e difficilmente direi delle stupidaggini. Perchè, quando uno fa un discorso, prima di tutto bisogna che capisca lui quello che dice. Se io parlo come mi ha fatto mia madre capisco tutto quello che dico. Perchè, caro reverendo, mia madre mi ha fatto in dialetto, mica in italiano. Ma così, vigliacco mondo, va a finire che, dopo aver fatto un discorso, uno deve farsi spiegare da un altro quello che ha detto!".
"Adesso parli giusto" osservò don Camillo. "Lo so. E tutti parlerebero giusto se non ci fosse questa porca letteratura che complica sempre di più le cose. Perchè, se ci sono cento cose, ci devono essere duemila modi per dire queste cento cose? Ci sono i nomi scientifici, e va bene : quelli servono per gli specializzati. Ma gli altri debbono usare soltanto le parole che capiscono. Si fa un comitato di galantuomini di tutte le categorie, si piglia il vocabolario, si cancellano tutte le parole inutili e se uno, dopo, usa in pubblico qualcuna di queste parole proibite lo si prende e lo si schiaffa dentro come quelli che tentano di spacciare moneta falsa. I signori poeti si lamenteranno perchè non trovano più la rima? Noi gli risponderemo che facciano le poesie senza rima. Un povero diavolo ha almeno il diritto di sapere quello che dice. Perchè io ho parlato poco fa di discorsi abulici? Perchè io, questa sporcaccionata di parola, l'ho letta o sentita da qualche parte e, siccome si presenta bene, mi è piaciuta e mi è rimasta appiccicata al cervello". "Capisco, ma perchè l'hai usata se non la conoscevi che di vista?" "Non l'ho usata io! E' stata lei che ha usato me! Io volevo dirvi : "Non diciamo delle vaccate, reverendo!", e mi pareva, così, dall'aspetto, che "abulico" significasse sempre roba bovina ma detta in modo più pulito, più distinto. Più letterario insomma!".
Peppone era triste e sospirò : "Forse era giusto se dicevo "discorsi bucolici" invece che "discorsi abulici" ". Don Camillo scosse il capo : "In "bucolico" il bestiame c'entra molto di più che in "abulico". Però, nel senso di "discorsi a vacca" o "vaccate", il "bucolico" non funziona. Dai retta a me : anche quando parli nei comizi devi dire soltanto le parole che sai". "Il guaio è che ne so poche". "Anche se tu ne sapessi metà, basterebbero. Ha bisogno di molte parole chi deve mascherare la sua mancanza di idee o chi deve mascherare le sue intenzioni. Credi tu che Gesù Cristo adoperasse più parole di quante ne puoi adoperare tu? Eppure riusciva a farsi capire da tutti e abbastanza bene, mi pare".
Peppone si strinse nelle spalle e sospirò : "Altri tempi, reverendo. Altro tipo di propaganda!". Allora don Camillo cavò dal fuoco un mezzo travicello infuocato e lo brandì minaccioso. "O la pianti di bestemmiare, o ti vernicio a fuoco il muso. Se mi hai fatto venir qui per sentire le tue bestemmie, hai sbagliato indirizzo. Si può sapere una buona volta che cosa vuoi da me?". Peppone esitò un poco poi si rinfrancò : "Reverendo, qui bisogna sistemare la faccenda : quello che è detto è detto e poi ci sono delle ragioni speciali e indietro non si torna. Noi in chiesa non ci possiamo venire più. D'altra parte siamo gente battezzata. Quindi..." "Quindi?" "Ieri sera abbiamo fatto una seduta straordinaria. Non ne mancava neanche uno e abbiamo deciso di proporvi la carica di cappellano della sezione".
"Cioè?" "Cioè voi, la domenica, dovreste venire a fare una Messa speciale per noi. Diciamo una Messa di Partito".
Don Camillo lo guardò. "Io non faccio il barbiere" rispose. "Sono i barbieri che fanno il servizio a domicilio. Alla vostra Casa del Popolo io non ci metterò più piede vita natural durante".
"Non alla Casa del Popolo. Non si potrebbe neanche perchè ci sarebbero delle interferenze politiche. Voi verreste qui : sotto quelle tre tettoie ci stiamo tutti. Qui siamo in campo neutrale : la distanza da qui alla Casa del Popolo è uguale alla distanza da qui alla chiesa. Dio è dappertutto e quindi Lui resta dov'è e nessuno gli dà dei fastidi : ci muoviamo noi e ci incontriamo a metà strada. Gli uomini si muovono e il Padreterno sta fermo. Insomma : se la montagna non vuole andare a Maometto e Maometto non vuole andare alla montagna, Maometto e la montagna vanno tutt'e due all' "Anonima" e buonanotte suonatori".
Don Camillo si alzò. "Ci penserò" disse andandosene.
Peppone rimase solo vicino al fuoco che ardeva sotto la tettoia della vecchia fabbrica abbandonata. "Se il Padreterno non è un fazioso" pensò " deve capire che queste storie non le facciamo per lui". Poi pensò alla faccenda dell' "abulico" e sospirò. "Peccato dover rinunciare a una così bella parola. Quella, per esempio, la si potrebbe mantenere nell'elenco delle parole permesse".
In questo racconto viene affrontato esplicitamente il problema - serio e rilevante per Guareschi - del rapporto tra il servizio alla verità e la tirannia delle esigenze letterarie.
Peppone l'avverte come qualcosa di intrigante e addirittura di angoscioso. "La letteratura (egli dice) è una porca faccenda che serve soltanto per imbrogliare le idee, perchè va a finire che uno, invece di dire quello che vorrebbe lui, dice quello che vuole la grammatica e l'analisi logica"
"Adesso parli giusto" osservò don Camillo (che qui è senza dubbio portavoce dell'autore).
"Ha bisogno di molte parole (dice più avanti don Camillo) chi deve mascherare la sua mancanza di idee o chi deve mascherare le sue intenzioni".
La proposta di Peppone è di cancellare dal vocabolario tutte le parole che sono in più : ce ne sono troppe rispetto al numero delle cose da dire. Al momento egli non ci pensa, ma in fondo il suo è lo stesso parere di Gesù Cristo che ha detto :"Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 37).
Bisogna riconoscere che dal tempo di Guareschi nell'uso del linguaggio c'è stato perfino un peggioramento. Sicchè oggi l'inizio obbligato della nostra redenzione sociale sarebbe quello di cominciare a chiamare le cose soltanto con il loro nome, senza camuffamenti e senza quelle inutili prolissità che spesso finiscono coll'essere messe a servizio dell'ambiguità e della confusione.
E' per esempio strano (ma non tanto) che la famosa legge 194 - con la quale si è legalizzato e pubblicamente finanziato l'aborto - si intitoli con bella ipocrisia Legge per la tutela della maternità o che ci si dimentichi che, per indicare la convivenza more uxorio di due persone non sposate, la lingua italiana abbia già la parola "concubinato", senza che ci sia bisogno di perifrasi come "unioni di fatto" o "unioni affettive".