sabato 17 ottobre 2009

ottimo editoriale di avvenire del 17 ottobre 2009

peccato non si dica che anche l'italia finirebbe così con la sinistra al governo!!!

CUPO TRAMONTO DI ZAPATERO

AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE

LA SPAGNA È STANCA

LUIGI GENINAZZI

L’ ultima radicale riforma di José Luis Zapatero, il premier socialista spa­gnolo deciso ad abbattere in un sol col­po principi etici e senso comune, po­trebbe avere come titolo quello dei fa­mosi aforismi di Nietzsche. Nella sua dis­sennata corsa a trasformare la Spagna nella società più permissiva d’Europa è ormai giunto «al di là del Bene e del Ma­le ». Il disegno di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza che l’esecu­tivo di Madrid intende sottoporre al Par­lamento non solo introduce la depena­lizzazione totale dell’aborto nei primi tre mesi di gravidanza ma ne estende «il di­ritto » anche alle minorenni di 16 e 17 an­ni, senza il consenso dei genitori. «Un’au­tentica barbarie». Così l’ha definita non un reazionario di destra, ma una fem­minista storica come la scrittrice catala­na Angela Vallvey che denuncia un’ope­razione ideologica a danno delle ragaz­ze, sospinte a fare da sé invece che a tro­vare sostegno nella realtà familiare.Con Zapatero siamo ben oltre l’idea, i­stillata nella mentalità comune, secon­do cui l’aborto sa­rebbe « un male necessario » o « un male minore » ( i­dea ambigua che però evita di defi­nire buona una pratica che si vuo­le comunque giu­stificare). Il suo progetto di legge, a ben vedere, più che alla depenaliz­zazione mira alla banalizzazione dell’aborto. Non solo non è un cri­mine, ma non è neppure un dramma, u­na scelta difficile e dolorosa. No, è un’a­zione neutra, senza alcun connotato e­tico, che, in quanto tale, può e dev’esse­re fruibile da parte di tutti. Anche delle minorenni.Non bastavano il matrimonio omoses­suale, il divorzio-express, l’autorizzazio­ne alla ricerca sulle staminali embriona­li e alla clonazione terapeutica, infine la legge organica sull’educazione che im­pone l’insegnamento nelle scuole del re­lativismo etico e della teoria del 'gene­re', tutti provvedimenti varati in questi sei anni dal premier spagnolo in nome di «un progresso irrefrenabile» (sono paro­le sue). Ci voleva anche l’aborto facile. Così Zapatero compie un altro passo ver­so il baratro del nichilismo eretto a pro­gramma di governo. Eppure, alle elezio­ni del marzo 2008, aveva solennemente promesso che non avrebbe cambiato la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Ma la sua incoerenza è pari all’arroganza con cui affronta il netto ca­lo di popolarità. La luna di miele fra Zapatero ed i suoi connazionali è finita già da parecchio tempo. Ma negli ultimi mesi il premier è in caduta libera nei sondaggi, due spa­gnoli su tre dichiarano di nutrire 'poca o nessuna fiducia' nella sua capacità di sollevare il Paese dalla grave crisi eco­nomica e perfino il quotidiano un tem­po fiancheggiatore El País non gli ri­sparmia le critiche più aspre. E lui, in mezzo a tanti problemi, non sa far altro che sventolare la bandiera del laicismo e del permissivismo.Oggi saranno in tanti a gridare il loro no. A Madrid sono attese centinaia di mi­gliaia di persone che scenderanno in piazza per una grande manifestazione contro i progetti abortisti del governo. L’ha organizzata una galassia di associa­zioni della società civile, di credenti e di non credenti, anche se qualcuno insiste nel vederci soprattutto un tentativo di ri­scossa dei cattolici. Ma qui c’è in gioco ben di più di un contrasto fra Stato e Chiesa. Un Paese dove una sedicenne potrà tranquillamente abortire senza neppure farlo sapere ai genitori è un in­cubo per tutti. Perfino per qualche de­putato socialista che alla prossima se­duta delle Cortes potrebbe votare contro l’ultra-abortista Zapatero.

sabato 10 ottobre 2009

CHI E' VERAMENTE OBAMA
E CHE COSA RAPPRESENTA ORMAI IL PREMIO NOBEL ?

Obama campione di relativismo

Una brillante oratoria non riesce a nascondere le intenzioni del Presidente abortista
di Renzo Puccetti*

ROMA, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).

Discorso tenuto il 17 maggio all’università cattolica di Notre Dame, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza, contestato da 80 Vescovi americani e con la Ann Mary Glendon che ha rifiutato una onorificenza, con abilità oratoria universalmente riconosciutagli, Barak Obama ha invitato gli ascoltatori ad aprire le loro menti ed i loro cuori.

Da consumato oratore nei palchi politici il presidente Obama ha attratto l’attenzione del pubblico proprio là dove voleva che essa andasse: la forma[1].
In un involucro di buona volontà, di apertura al dialogo, di desiderio di attenzione per il destino delle persone, il contenuto del messaggio, un perfetto relativismo, è stato una volta di più confezionato come suprema fonte a cui attingere.
Viene da chiedersi: “possiamo bere questa pozione?”. La mia risposta è: “No”. No, perché essa non apre né il cuore né la mente, ma al contrario la chiude.
Il confronto non è evocato nell’intento di scoprire la verità; nelle parole del presidente Obama, alla fine ciò che va coltivato non è la ricerca ed il rispetto della verità, ma il dubbio. Non un dubbio socratico che spinge alla ricerca, ma quel dubbio pilatesco, ideologicamente chiuso alla stessa esistenza della verità.
Mentre aspettiamo di ascoltare lo stesso invito al dubbio quando egli si rivolgerà ai sostenitori della libera scelta, il signor Obama trasforma il suo dubbio in certezza quando afferma che la scelta di sopprimere un essere umano vivente colpevole solo della propria dipendenza è un fatto di libertà.
Vi è in questo atteggiamento una potente affermazione di certezza: il valore dell’essere umano, quando si trova allo stato di sviluppo embrionale e fetale, non è fondato nella sua natura, nella sua irripetibile dignità, ma è attribuito. Così facendo egli si dimostra discepolo dello stesso pensiero subito per secoli nella propria carne da milioni di esseri umani di colore, particolarmente nel paese di cui Obama è presidente.
Paradossalmente il campione politico del pensiero debole dimostra la vera natura dell’atteggiamento che lo ispira: un fondamentalismo relativista. Dall’altra parte stanno coloro che, seppure dipinti come integralisti, esercitano il vero pensiero del dubbio, che non esclude alcuna possibilità, compresa quella che il concepito sia una persona, dotata di diritti inalienabili per il suo essere persona e non per quello che riesce a fare, o per quanto riesce a farsi apprezzare.
Il presidente Obama non chiede ai pro-life di convertirsi alla causa abortista, ma di convertirsi all’integralismo relativista, consentendo che in una tale materia ciascuno abbia libertà di pensare ed agire come vuole.
È un’argomentazione coincidente con quella che il giudice Stephen Douglas rivolse ad Abraham Lincoln nei celebri 7 dibattiti nell’Illinois in vista delle elezioni per il congresso: la sovranità popolare democraticamente espressa deve essere rispettata.
Se i cittadini di un stato vogliono la schiavitù, diceva allora Douglas, non si vede perché essa non dovrebbe essere legalizzata; se i cittadini vogliono l’aborto, dice oggi Obama, questa è una scelta che dovete rispettare[2].
Il presidente Obama parla come se il suo primo atto significativo, il ripristino dei fondi federali a favore delle lobbies abortiste, il cui obiettivo è proprio quello d’introdurre l’aborto nei paesi dove esso è illegale e molte volte incostituzionale, fosse operazione dettata da sublime neutralità e non invece una continua opera volta ad abbattere i valori e i costumi di una comunità per sostituirli con quelli del grande circolo relativista mondiale.
“Aprite la mente”, ha detto dal palco della Notre Dame mr. Obama. Sì, signor presidente è necessario che le menti si aprano, a partire dalla sua. La ricetta che il grande affabulatore propina condendola con la sua proverbiale salsa mielata non è poi così diversa da quella già enunciata dalla femminista Hillary Rodham Clinton, rendere l’aborto “safe, legal and rare”[3] attraverso servizi di salute riproduttiva più accessibili; in pratica la solita minestra riscaldata fatta di più contraccezione, più pillole del giorno dopo e aborto facilitato.
Anche in Italia si è cercato di emulare questa ricetta, provvidenzialmente senza riuscirci[4]. Difficile intravedere in tale progetto rilevanti aperture mentali, quanto meno nei confronti di quegli ingombranti testimoni della verità che sono i fatti. È un fatto che le politiche di facilitazione dei servizi abortivi incrementino il ricorso all’aborto[5].
È un fatto che la necessità del consenso dei genitori riduca il numero di aborti tra le minori[6]. È un fatto che minori costi per abortire ne incrementano la diffusione[7]. Sono fatti noti alla comunità scientifica che leggi più permissive nei confronti dell’aborto, maggiori finanziamenti pubblici all’aborto, maggiore disponibilità di cliniche abortive favoriscono direttamente l’incremento del tasso di abortività[8].
È ancora un fatto che nel mondo occidentale non si riduce l’aborto inondando le donne con i contraccettivi [9,10,11]. È una volta di più un fatto che in Spagna, nonostante la copertura contraccettiva sia aumentata del 40%, il tasso di abortività sia aumentato del 60% in soli 6 anni[12].
È un fatto che le stesse agenzie che tentano di esportare a livello planetario il diritto all’aborto non possono smentire che nei paesi dove l’aborto è illegale esso è meno frequente[13]. Sono i numeri che dimostrano per l’aborto: “if legal, less rare”[14].
Se la legalizzazione dell’aborto non causasse un incremento del numero degli aborti l’approccio proporzionalista al problema riceverebbe un indubbio supporto, aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto come scelta di un male minore.
La strategia proporzionalista si regge solamente dimostrando che la legalizzazione riduce la pericolosità dell’aborto senza aumentarne il numero. Ma perché in Etiopia il numero dei casi fatali per aborto è aumentato dopo la legalizzazione?[15]
Perché in un paese dove l’aborto è consentito soltanto in caso di pericolo di vita della madre come l’Irlanda la mortalità materna è 8 volte inferiore rispetto alla vicina Inghilterra, dove invece è possibile su semplice richiesta?[16] Perché nella Cuba che dell’assistenza sanitaria e del diritto all’aborto “safe and legal” fa un vanto la mortalità materna è più che doppia rispetto all’Uruguay? E perché le donne che abortiscono hanno una mortalità ad un anno tripla rispetto a quelle che danno alla luce un figlio?[17]
Dove sono i benefici dell’aborto legale, quando tutti gli indicatori di salute conducono a evidenziarne il ruolo di trattamento futile per la madre e mortifero per il figlio? La verità scientifica ha ormai portato ad una mole estremamente solida di evidenze che fanno a pezzi l’approccio utilitaristico all’aborto.
Il presidente Obama, caricandosi del compito di rappresentare il pensiero pro-choice in un ateneo che della cultura dovrebbe avere somma cura, ha reso un pessimo servizio a quanti caparbiamente hanno voluto non ripensare alla scelta di conferirgli una laurea ad honorem. Forte con i deboli, debole con i forti, mr. Obama alla fine ha potuto portare alla Notre Dame University soltanto “junk science” e “junk ethics”.
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*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
1) http://www.dailykos.com/storyonly/2009/5/17/732527/-President-Obamas-Notre-Dame-Speech.
2) Miranda G. Aborto: la vera «questione morale del nostro tempo». Acta Bioethica 2008; 1: 79-82.
3) Remarks by Senator Hillary Rodham Clinton to the NYS Family Planning Providers. January 24, 2005.
4) Schema d'Intesa Stato-Regioni per una migliore applicazione della legge 194. http://www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=33
5) Finer LB, Henshaw SK. Abortion incidence and services in the Unites States in 2000. Perspectives on Sexual and Reproductive Health. 2003; 35: 6-15.
6) Joyce T, Kaestner R, Colman S. Changes in abortions and births and the Texas parental notification law. N Engl J Med. 2006; 354: 1031-8.
7) Gohmann SF, Ohsfeldt RL. Effects of price and availability on abortion demand. Contemp Policy Issues. 1993; 11: 42-55.
8) Gober P. The role of access in explaining state abortion rates. Soc Sci Med. 1997; 44: 1003-16.
9) Puccetti R. Does contraception prevent abortion? An empirical analysis. Studia Bioethica, 2008; 1: 133-41.
10) Imamura M et al. Factors associated with teenage pregnancy in the European union countries: a systematic review. Hum Repr. 2007; 17: 630-6.
11) Kirby D. The impact of programs to increase contraceptive use among adult women: a review of experimental and quasi-experimental studies. Perspect Sex Reprod Health. 2008; 40: 34-41.
12) Lete I, et al. Contraceptive practices and trends in Spain: 1997-2003. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2007; 135: 73-5.
13) Sedgh G, Henshaw S, Singh S, Ahman E, Shah IH. Induced abortion: estimated rates and trends worldwide. Lancet. 2007; 370: 1338-45.
14) Puccetti R. Abortion incidence in Peru: if legal less rare. CMAJ. 17 Feb 2009. [letter].
15) Gebrehiwot Y, Liabsuetrakul T. Trends of abortion complications in a transition of abortion law revisions in Ethiopia. J Public Health (Oxf). 2009; 31: 81-7.
16) Maternal Mortality in 2005. Estimates developed by WHO, UNICEF, UNFPA, and The World Bank.
17) Gissler M, Berg C, Bouvier-Colle MH, Buekens P. Pregnancy-associated mortality after birth, spontaneous abortion, or induced abortion in Finland 1987-2000. Am J Obstet Gynecol, 2004, 190:422-7.


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mercoledì 7 ottobre 2009

Addio a Obama l'idealista

di Fausto Carioti

La leggenda metropolitana più in voga negli ultimi tempi è stata quella di Barack Obama presidente dai grandi ideali. Da contrapporre al suo predecessore, il bovaro texano George W. Bush, che faceva le guerre per arricchire la Hulliburton, la Exxon e le altre grandi compagnie americane. Ecco, dopo nemmeno nove mesi dal suo insediamento, Obama il grande idealista non c’è più. Svanito. I pochi che ancora non ne hanno preso atto sono pregati di fare i conti con la realtà, sporca e cattiva come sempre: ieri la Casa Bianca ha fatto sapere che il Dalai Lama, appena arrivato a Washington, non sarà ricevuto dal presidente. Né in forma privata, tantomeno in veste ufficiale. Obama gli ha sbattuto la porta in faccia. Il 74enne leader religioso del Tibet, premio Nobel per la pace, sarà carino e simpatico quanto vuoi, ma è inavvicinabile perché su di lui pesa il veto del regime di Pechino. E poi non ha nemmeno il dono dell’opportunità: il presidente statunitense tra un mese sarà in visita in Cina, e non è il caso di guastare sin d’ora il grande evento. La causa tibetana può attendere.Chi accredita il Dalai Lama come interlocutore politico, infatti, entra automaticamente nella lista nera di Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare cinese. Jintao è il leader di un Paese in cui i diritti umani semplicemente non esistono, tanto che chiunque può essere incarcerato senza processo. Sotto il controllo militare del regime di Pechino gli abitanti della regione autonoma del Tibet - quelli che non stati rinchiusi in carcere - sono chiamati a seguire corsi di «educazione patriottica», dove ai partecipanti è chiesto di firmare denunce scritte contro il Dalai Lama. Ma soprattutto Jintao è il leader della nuova grande potenza economica e politica mondiale. Gli investitori cinesi controllano titoli del Tesoro americano per oltre 800 miliardi di dollari, pari a un quarto del debito pubblico statunitense collocato all’estero. Questo basta a far passare in secondo piano tutto il resto. Un portavoce di Jintao, il mese scorso, aveva lanciato l’avvertimento: il governo di Pechino «si oppone» a un incontro tra Obama e il Dalai Lama. Ricevuto il messaggio, il presidente americano si è adeguato.È un modo di fare che qui in Italia conosciamo bene. Silvio Berlusconi, nei periodi in cui è stato presidente del Consiglio, ha ricevuto il Dalai Lama solo nel 1994, e l’incontro è avvenuto sotto forma di semplice visita privata. Nel 2003 e nel 2009 la guida spirituale del Tibet buddista è tornata in Italia, ma non è riuscita a incontrare il Cavaliere. Un diniego bipartisan: disgustando i suoi alleati del partito radicale, Romano Prodi nel dicembre del 2007 spiegò con la ragion di Stato il suo rifiuto a ricevere l’ingombrante ospite: «Bisogna usare prudenza. Ho la responsabilità di un Paese e devo rendermi conto delle conseguenze finali delle mie azioni».Ora, che a fare simili ragionamenti siano i politici di casa nostra, peraltro imitati dalla gran parte dei loro colleghi internazionali, non stupisce nessuno. Ma diventa una signora notizia quando a certe vecchie ipocrisie ricorre il leader della superpotenza americana, nonché alfiere del «mondo nuovo» in cui gli ideali di Libertà e Giustizia avrebbero dovuto rimpiazzare i compromessi al ribasso sulla pelle degli oppressi. Concita De Gregorio, direttrice dell’Unità, ha presentato Obama ai suoi lettori come il presidente che «con tranquilla disinvoltura scardina il vecchio mondo». Vittorio Zucconi, su Repubblica, ha fatto credere a qualcuno che Obama avrebbe offerto alla comunità internazionale un «nuovo inizio». Come no.Meglio di tutti, come sempre in questi casi, è riuscito a fare Furio Colombo, in un articolo per l’Unità: «Obama ha rovesciato la frase “purtroppo la politica ci costringe a…” in “per fortuna la politica ci chiede di…”. Il patto con l’America è anche un patto con il mondo. E questo è il senso magico dell’attesa», scriveva Colombo commuovendo i suoi lettori. I quali, però, adesso dovrebbero essere svegliati dall’estasi mistica e informati, con il dovuto tatto, che Colombo non ci aveva capito nulla, e che Obama ha appena detto che “purtroppo la politica” lo costringe a non incontrare il Dalai Lama. Il «Mondo nuovo» esisteva solo nelle favole con cui i compagni italiani cercavano di evadere dalla onnipresenza berlusconiana.«Cosa deve pensare un monaco o una suora buddista rinchiuso in prigione nell’apprendere che Obama non riceve il leader spirituale tibetano?» si è chiesto a Washington il deputato repubblicano Frank Wolf. Domanda retorica, la risposta già si sa: deve pensare che a Obama non importa nulla. A proposito: l’unico presidente statunitense che ha ricevuto il Dalai Lama, sfidando le ire del regime cinese (e fregandosene), è stato George W. Bush. Quello stupido e senza ideali.