lunedì 9 novembre 2009
sabato 17 ottobre 2009
ottimo editoriale di avvenire del 17 ottobre 2009
CUPO TRAMONTO DI ZAPATERO
AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE
LA SPAGNA È STANCA
LUIGI GENINAZZI
L’ ultima radicale riforma di José Luis Zapatero, il premier socialista spagnolo deciso ad abbattere in un sol colpo principi etici e senso comune, potrebbe avere come titolo quello dei famosi aforismi di Nietzsche. Nella sua dissennata corsa a trasformare la Spagna nella società più permissiva d’Europa è ormai giunto «al di là del Bene e del Male ». Il disegno di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza che l’esecutivo di Madrid intende sottoporre al Parlamento non solo introduce la depenalizzazione totale dell’aborto nei primi tre mesi di gravidanza ma ne estende «il diritto » anche alle minorenni di 16 e 17 anni, senza il consenso dei genitori. «Un’autentica barbarie». Così l’ha definita non un reazionario di destra, ma una femminista storica come la scrittrice catalana Angela Vallvey che denuncia un’operazione ideologica a danno delle ragazze, sospinte a fare da sé invece che a trovare sostegno nella realtà familiare.Con Zapatero siamo ben oltre l’idea, istillata nella mentalità comune, secondo cui l’aborto sarebbe « un male necessario » o « un male minore » ( idea ambigua che però evita di definire buona una pratica che si vuole comunque giustificare). Il suo progetto di legge, a ben vedere, più che alla depenalizzazione mira alla banalizzazione dell’aborto. Non solo non è un crimine, ma non è neppure un dramma, una scelta difficile e dolorosa. No, è un’azione neutra, senza alcun connotato etico, che, in quanto tale, può e dev’essere fruibile da parte di tutti. Anche delle minorenni.Non bastavano il matrimonio omosessuale, il divorzio-express, l’autorizzazione alla ricerca sulle staminali embrionali e alla clonazione terapeutica, infine la legge organica sull’educazione che impone l’insegnamento nelle scuole del relativismo etico e della teoria del 'genere', tutti provvedimenti varati in questi sei anni dal premier spagnolo in nome di «un progresso irrefrenabile» (sono parole sue). Ci voleva anche l’aborto facile. Così Zapatero compie un altro passo verso il baratro del nichilismo eretto a programma di governo. Eppure, alle elezioni del marzo 2008, aveva solennemente promesso che non avrebbe cambiato la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Ma la sua incoerenza è pari all’arroganza con cui affronta il netto calo di popolarità. La luna di miele fra Zapatero ed i suoi connazionali è finita già da parecchio tempo. Ma negli ultimi mesi il premier è in caduta libera nei sondaggi, due spagnoli su tre dichiarano di nutrire 'poca o nessuna fiducia' nella sua capacità di sollevare il Paese dalla grave crisi economica e perfino il quotidiano un tempo fiancheggiatore El País non gli risparmia le critiche più aspre. E lui, in mezzo a tanti problemi, non sa far altro che sventolare la bandiera del laicismo e del permissivismo.Oggi saranno in tanti a gridare il loro no. A Madrid sono attese centinaia di migliaia di persone che scenderanno in piazza per una grande manifestazione contro i progetti abortisti del governo. L’ha organizzata una galassia di associazioni della società civile, di credenti e di non credenti, anche se qualcuno insiste nel vederci soprattutto un tentativo di riscossa dei cattolici. Ma qui c’è in gioco ben di più di un contrasto fra Stato e Chiesa. Un Paese dove una sedicenne potrà tranquillamente abortire senza neppure farlo sapere ai genitori è un incubo per tutti. Perfino per qualche deputato socialista che alla prossima seduta delle Cortes potrebbe votare contro l’ultra-abortista Zapatero.
sabato 10 ottobre 2009
E CHE COSA RAPPRESENTA ORMAI IL PREMIO NOBEL ?
Obama campione di relativismo
Una brillante oratoria non riesce a nascondere le intenzioni del Presidente abortista
di Renzo Puccetti*
ROMA, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).
Discorso tenuto il 17 maggio all’università cattolica di Notre Dame, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza, contestato da 80 Vescovi americani e con la Ann Mary Glendon che ha rifiutato una onorificenza, con abilità oratoria universalmente riconosciutagli, Barak Obama ha invitato gli ascoltatori ad aprire le loro menti ed i loro cuori.
Da consumato oratore nei palchi politici il presidente Obama ha attratto l’attenzione del pubblico proprio là dove voleva che essa andasse: la forma[1].
In un involucro di buona volontà, di apertura al dialogo, di desiderio di attenzione per il destino delle persone, il contenuto del messaggio, un perfetto relativismo, è stato una volta di più confezionato come suprema fonte a cui attingere.
Viene da chiedersi: “possiamo bere questa pozione?”. La mia risposta è: “No”. No, perché essa non apre né il cuore né la mente, ma al contrario la chiude.
Il confronto non è evocato nell’intento di scoprire la verità; nelle parole del presidente Obama, alla fine ciò che va coltivato non è la ricerca ed il rispetto della verità, ma il dubbio. Non un dubbio socratico che spinge alla ricerca, ma quel dubbio pilatesco, ideologicamente chiuso alla stessa esistenza della verità.
Mentre aspettiamo di ascoltare lo stesso invito al dubbio quando egli si rivolgerà ai sostenitori della libera scelta, il signor Obama trasforma il suo dubbio in certezza quando afferma che la scelta di sopprimere un essere umano vivente colpevole solo della propria dipendenza è un fatto di libertà.
Vi è in questo atteggiamento una potente affermazione di certezza: il valore dell’essere umano, quando si trova allo stato di sviluppo embrionale e fetale, non è fondato nella sua natura, nella sua irripetibile dignità, ma è attribuito. Così facendo egli si dimostra discepolo dello stesso pensiero subito per secoli nella propria carne da milioni di esseri umani di colore, particolarmente nel paese di cui Obama è presidente.
Paradossalmente il campione politico del pensiero debole dimostra la vera natura dell’atteggiamento che lo ispira: un fondamentalismo relativista. Dall’altra parte stanno coloro che, seppure dipinti come integralisti, esercitano il vero pensiero del dubbio, che non esclude alcuna possibilità, compresa quella che il concepito sia una persona, dotata di diritti inalienabili per il suo essere persona e non per quello che riesce a fare, o per quanto riesce a farsi apprezzare.
Il presidente Obama non chiede ai pro-life di convertirsi alla causa abortista, ma di convertirsi all’integralismo relativista, consentendo che in una tale materia ciascuno abbia libertà di pensare ed agire come vuole.
È un’argomentazione coincidente con quella che il giudice Stephen Douglas rivolse ad Abraham Lincoln nei celebri 7 dibattiti nell’Illinois in vista delle elezioni per il congresso: la sovranità popolare democraticamente espressa deve essere rispettata.
Se i cittadini di un stato vogliono la schiavitù, diceva allora Douglas, non si vede perché essa non dovrebbe essere legalizzata; se i cittadini vogliono l’aborto, dice oggi Obama, questa è una scelta che dovete rispettare[2].
Il presidente Obama parla come se il suo primo atto significativo, il ripristino dei fondi federali a favore delle lobbies abortiste, il cui obiettivo è proprio quello d’introdurre l’aborto nei paesi dove esso è illegale e molte volte incostituzionale, fosse operazione dettata da sublime neutralità e non invece una continua opera volta ad abbattere i valori e i costumi di una comunità per sostituirli con quelli del grande circolo relativista mondiale.
“Aprite la mente”, ha detto dal palco della Notre Dame mr. Obama. Sì, signor presidente è necessario che le menti si aprano, a partire dalla sua. La ricetta che il grande affabulatore propina condendola con la sua proverbiale salsa mielata non è poi così diversa da quella già enunciata dalla femminista Hillary Rodham Clinton, rendere l’aborto “safe, legal and rare”[3] attraverso servizi di salute riproduttiva più accessibili; in pratica la solita minestra riscaldata fatta di più contraccezione, più pillole del giorno dopo e aborto facilitato.
Anche in Italia si è cercato di emulare questa ricetta, provvidenzialmente senza riuscirci[4]. Difficile intravedere in tale progetto rilevanti aperture mentali, quanto meno nei confronti di quegli ingombranti testimoni della verità che sono i fatti. È un fatto che le politiche di facilitazione dei servizi abortivi incrementino il ricorso all’aborto[5].
È un fatto che la necessità del consenso dei genitori riduca il numero di aborti tra le minori[6]. È un fatto che minori costi per abortire ne incrementano la diffusione[7]. Sono fatti noti alla comunità scientifica che leggi più permissive nei confronti dell’aborto, maggiori finanziamenti pubblici all’aborto, maggiore disponibilità di cliniche abortive favoriscono direttamente l’incremento del tasso di abortività[8].
È ancora un fatto che nel mondo occidentale non si riduce l’aborto inondando le donne con i contraccettivi [9,10,11]. È una volta di più un fatto che in Spagna, nonostante la copertura contraccettiva sia aumentata del 40%, il tasso di abortività sia aumentato del 60% in soli 6 anni[12].
È un fatto che le stesse agenzie che tentano di esportare a livello planetario il diritto all’aborto non possono smentire che nei paesi dove l’aborto è illegale esso è meno frequente[13]. Sono i numeri che dimostrano per l’aborto: “if legal, less rare”[14].
Se la legalizzazione dell’aborto non causasse un incremento del numero degli aborti l’approccio proporzionalista al problema riceverebbe un indubbio supporto, aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto come scelta di un male minore.
La strategia proporzionalista si regge solamente dimostrando che la legalizzazione riduce la pericolosità dell’aborto senza aumentarne il numero. Ma perché in Etiopia il numero dei casi fatali per aborto è aumentato dopo la legalizzazione?[15]
Perché in un paese dove l’aborto è consentito soltanto in caso di pericolo di vita della madre come l’Irlanda la mortalità materna è 8 volte inferiore rispetto alla vicina Inghilterra, dove invece è possibile su semplice richiesta?[16] Perché nella Cuba che dell’assistenza sanitaria e del diritto all’aborto “safe and legal” fa un vanto la mortalità materna è più che doppia rispetto all’Uruguay? E perché le donne che abortiscono hanno una mortalità ad un anno tripla rispetto a quelle che danno alla luce un figlio?[17]
Dove sono i benefici dell’aborto legale, quando tutti gli indicatori di salute conducono a evidenziarne il ruolo di trattamento futile per la madre e mortifero per il figlio? La verità scientifica ha ormai portato ad una mole estremamente solida di evidenze che fanno a pezzi l’approccio utilitaristico all’aborto.
Il presidente Obama, caricandosi del compito di rappresentare il pensiero pro-choice in un ateneo che della cultura dovrebbe avere somma cura, ha reso un pessimo servizio a quanti caparbiamente hanno voluto non ripensare alla scelta di conferirgli una laurea ad honorem. Forte con i deboli, debole con i forti, mr. Obama alla fine ha potuto portare alla Notre Dame University soltanto “junk science” e “junk ethics”.
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*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
1) http://www.dailykos.com/storyonly/2009/5/17/732527/-President-Obamas-Notre-Dame-Speech.
2) Miranda G. Aborto: la vera «questione morale del nostro tempo». Acta Bioethica 2008; 1: 79-82.
3) Remarks by Senator Hillary Rodham Clinton to the NYS Family Planning Providers. January 24, 2005.
4) Schema d'Intesa Stato-Regioni per una migliore applicazione della legge 194. http://www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=33
5) Finer LB, Henshaw SK. Abortion incidence and services in the Unites States in 2000. Perspectives on Sexual and Reproductive Health. 2003; 35: 6-15.
6) Joyce T, Kaestner R, Colman S. Changes in abortions and births and the Texas parental notification law. N Engl J Med. 2006; 354: 1031-8.
7) Gohmann SF, Ohsfeldt RL. Effects of price and availability on abortion demand. Contemp Policy Issues. 1993; 11: 42-55.
8) Gober P. The role of access in explaining state abortion rates. Soc Sci Med. 1997; 44: 1003-16.
9) Puccetti R. Does contraception prevent abortion? An empirical analysis. Studia Bioethica, 2008; 1: 133-41.
10) Imamura M et al. Factors associated with teenage pregnancy in the European union countries: a systematic review. Hum Repr. 2007; 17: 630-6.
11) Kirby D. The impact of programs to increase contraceptive use among adult women: a review of experimental and quasi-experimental studies. Perspect Sex Reprod Health. 2008; 40: 34-41.
12) Lete I, et al. Contraceptive practices and trends in Spain: 1997-2003. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2007; 135: 73-5.
13) Sedgh G, Henshaw S, Singh S, Ahman E, Shah IH. Induced abortion: estimated rates and trends worldwide. Lancet. 2007; 370: 1338-45.
14) Puccetti R. Abortion incidence in Peru: if legal less rare. CMAJ. 17 Feb 2009. [letter].
15) Gebrehiwot Y, Liabsuetrakul T. Trends of abortion complications in a transition of abortion law revisions in Ethiopia. J Public Health (Oxf). 2009; 31: 81-7.
16) Maternal Mortality in 2005. Estimates developed by WHO, UNICEF, UNFPA, and The World Bank.
17) Gissler M, Berg C, Bouvier-Colle MH, Buekens P. Pregnancy-associated mortality after birth, spontaneous abortion, or induced abortion in Finland 1987-2000. Am J Obstet Gynecol, 2004, 190:422-7.
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mercoledì 7 ottobre 2009
di Fausto Carioti
La leggenda metropolitana più in voga negli ultimi tempi è stata quella di Barack Obama presidente dai grandi ideali. Da contrapporre al suo predecessore, il bovaro texano George W. Bush, che faceva le guerre per arricchire la Hulliburton, la Exxon e le altre grandi compagnie americane. Ecco, dopo nemmeno nove mesi dal suo insediamento, Obama il grande idealista non c’è più. Svanito. I pochi che ancora non ne hanno preso atto sono pregati di fare i conti con la realtà, sporca e cattiva come sempre: ieri la Casa Bianca ha fatto sapere che il Dalai Lama, appena arrivato a Washington, non sarà ricevuto dal presidente. Né in forma privata, tantomeno in veste ufficiale. Obama gli ha sbattuto la porta in faccia. Il 74enne leader religioso del Tibet, premio Nobel per la pace, sarà carino e simpatico quanto vuoi, ma è inavvicinabile perché su di lui pesa il veto del regime di Pechino. E poi non ha nemmeno il dono dell’opportunità: il presidente statunitense tra un mese sarà in visita in Cina, e non è il caso di guastare sin d’ora il grande evento. La causa tibetana può attendere.Chi accredita il Dalai Lama come interlocutore politico, infatti, entra automaticamente nella lista nera di Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare cinese. Jintao è il leader di un Paese in cui i diritti umani semplicemente non esistono, tanto che chiunque può essere incarcerato senza processo. Sotto il controllo militare del regime di Pechino gli abitanti della regione autonoma del Tibet - quelli che non stati rinchiusi in carcere - sono chiamati a seguire corsi di «educazione patriottica», dove ai partecipanti è chiesto di firmare denunce scritte contro il Dalai Lama. Ma soprattutto Jintao è il leader della nuova grande potenza economica e politica mondiale. Gli investitori cinesi controllano titoli del Tesoro americano per oltre 800 miliardi di dollari, pari a un quarto del debito pubblico statunitense collocato all’estero. Questo basta a far passare in secondo piano tutto il resto. Un portavoce di Jintao, il mese scorso, aveva lanciato l’avvertimento: il governo di Pechino «si oppone» a un incontro tra Obama e il Dalai Lama. Ricevuto il messaggio, il presidente americano si è adeguato.È un modo di fare che qui in Italia conosciamo bene. Silvio Berlusconi, nei periodi in cui è stato presidente del Consiglio, ha ricevuto il Dalai Lama solo nel 1994, e l’incontro è avvenuto sotto forma di semplice visita privata. Nel 2003 e nel 2009 la guida spirituale del Tibet buddista è tornata in Italia, ma non è riuscita a incontrare il Cavaliere. Un diniego bipartisan: disgustando i suoi alleati del partito radicale, Romano Prodi nel dicembre del 2007 spiegò con la ragion di Stato il suo rifiuto a ricevere l’ingombrante ospite: «Bisogna usare prudenza. Ho la responsabilità di un Paese e devo rendermi conto delle conseguenze finali delle mie azioni».Ora, che a fare simili ragionamenti siano i politici di casa nostra, peraltro imitati dalla gran parte dei loro colleghi internazionali, non stupisce nessuno. Ma diventa una signora notizia quando a certe vecchie ipocrisie ricorre il leader della superpotenza americana, nonché alfiere del «mondo nuovo» in cui gli ideali di Libertà e Giustizia avrebbero dovuto rimpiazzare i compromessi al ribasso sulla pelle degli oppressi. Concita De Gregorio, direttrice dell’Unità, ha presentato Obama ai suoi lettori come il presidente che «con tranquilla disinvoltura scardina il vecchio mondo». Vittorio Zucconi, su Repubblica, ha fatto credere a qualcuno che Obama avrebbe offerto alla comunità internazionale un «nuovo inizio». Come no.Meglio di tutti, come sempre in questi casi, è riuscito a fare Furio Colombo, in un articolo per l’Unità: «Obama ha rovesciato la frase “purtroppo la politica ci costringe a…” in “per fortuna la politica ci chiede di…”. Il patto con l’America è anche un patto con il mondo. E questo è il senso magico dell’attesa», scriveva Colombo commuovendo i suoi lettori. I quali, però, adesso dovrebbero essere svegliati dall’estasi mistica e informati, con il dovuto tatto, che Colombo non ci aveva capito nulla, e che Obama ha appena detto che “purtroppo la politica” lo costringe a non incontrare il Dalai Lama. Il «Mondo nuovo» esisteva solo nelle favole con cui i compagni italiani cercavano di evadere dalla onnipresenza berlusconiana.«Cosa deve pensare un monaco o una suora buddista rinchiuso in prigione nell’apprendere che Obama non riceve il leader spirituale tibetano?» si è chiesto a Washington il deputato repubblicano Frank Wolf. Domanda retorica, la risposta già si sa: deve pensare che a Obama non importa nulla. A proposito: l’unico presidente statunitense che ha ricevuto il Dalai Lama, sfidando le ire del regime cinese (e fregandosene), è stato George W. Bush. Quello stupido e senza ideali.
martedì 15 settembre 2009
lunedì 22 giugno 2009
IL VANGELO DEI SEMPLICI" a cura di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
GIOVANNINO GUARESCHI
ALL' "ANONIMA"
riletto da Giacomo Biffi
DAL VANGELO DI MATTEO (5, 37) Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
ALL' "ANONIMA"
Fioccava che Dio la mandava, ma lo Smilzo, piuttosto di usare l'ombrello, simbolo della reazione borghese e clericale, si sarebbe fatto scannare. D'altra parte, se si fosse messo il cappello, come sarebbe entrato? Tenendoselo in testa o cavandoselo? "Entrare in casa di un nemico del popolo tenendo il cappello in testa è, sì, un atto fiero, adeguato alla dignità del popolo : però è provocatorio. Entrare in casa di un nemico del popolo togliendosi il cappello non è un atto provocatorio, però è servile e umiliante : quindi dannoso alla causa del popolo. L'unico modo per conservare la propria dignità senza, per questo, assumere atteggiamenti provocatori è quello di andare in casa dei nemici del popolo senza mettersi il cappello. Si serve la causa del popolo anche prendendo un raffreddore. Ogni azione rivoluzionaria comporta dei sacrifici". Così pensò lo Smilzo e perciò, quando entrò in canonica, era fiero senza essere provocatorio : però aveva la testa piena di neve.
"Ciao, Gennaio" gli disse don Camillo. "Nevica anche sul partito?" "Può darsi" rispose con voce ferma lo Smilzo. "Però presto verrà il sole anche per il Partito". "C'è scritto sul Solitario Piacentino?" si informò don Camillo. Lo Smilzo assunse un'aria notevolmente annoiata. "Dice il capo che, se nel Piano Marshall non esiste nessuna clausola in contrario, vorrebbe parlarvi". "Bene" rispose don Camillo. "Digli pure che io non ho cambiato casa : abito sempre qui". Lo Smilzo ebbe un risolino, di quelli tutti da una parte e col singhiozzino sotterraneo. "Fin che dura!...A ogni modo, siccome si tratta di cose strettamente personali e siccome voi non volete andare da lui, mentre la sua dignità non gli permette di venire qui a riverirvi, il capo ha organizzato un incontro in campo neutro. Vi aspetta all' "Anonima" ".
L' "Anonima" era un gran baraccone fuori dal paese : un tempo era stato una fabbrica di salsa di pomodoro. Roba impiantata nel 1908 e che aveva funzionato per una decina d'anni. E siccome sul frontale c'era scritto "Società Anonima Conserve Alimentari" la gente trovò che l' "Anonima" rendeva l'idea meglio di tutto il resto e con tal nome battezzò la baracca. Ora la fabbrica, abbandonata da anni e annorum, funzionava semplicemente da ricordo di giovinezza per i più vecchi e da "centrale giochi" per i più giovani.
Don Camillo infilò gli stivaloni e andò a pestar neve e lo Smilzo lo seguì, ma, duecento metri prima di arrivare, si fermò e tornò indietro. "Così nero in mezzo alla neve fate un bell'effetto" osservò lo Smilzo quando fu lontano una ventina di metri. "Stareste proprio bene in Siberia. Vi terremo presente reverendo". "Tu invece staresti bene all'Inferno" borbottò don Camillo.
Peppone era ad aspettarlo sotto una tettoia e aveva acceso un bel fuoco e si stava scaldando, seduto su una cassa sgangherata. Don Camillo spinse col piede una cassa vicino al fuoco e si mise a sedere di fronte a Peppone. Rimasero lì un bel po' ad arrostirsi le mani in silenzio. Poi Peppone levò la testa e disse con voce aggressiva : "Qui bisogna venire a una conclusione. E' una storia che non può funzionare". "Quale storia?" si informò don Camillo. "E quale deve essere? Quella della Messa!" spiegò sgarbato Peppone. "Ecco : i compagni hanno apprezzato molto il vostro gesto della Vigilia di Natale. Il fatto del clero che esce dal suo isolamento e va a bussare alla porta del popolo ha un valore. Sta a significare che Dio capisce finalmente l'importanza del popolo e allora va lui a cercare il popolo. Dio fa un'autocritica, riconosce le sue deviazioni ideologiche e il popolo allora apre la porta a Dio e gli perdona. Dio insomma diventa veramente democratico : non più il popolo che deve andare alla Casa di Dio, ma Dio che va alla Casa del Popolo".
Don Camillo tirò su uno stecco dal fuoco e si accese il sigaro. "Siete una manica di porci" disse don Camillo con calma. "Approfittate di uno stupido come il sottoscritto, che in un momento di debolezza ha commesso una fesseria, per gonfiarvi di boria e bestemmiare il nome di Dio". Peppone lo guardò perplesso. "Non avete commesso nessuna fesseria, reverendo. C'è scritto sui vostri libri che il buon pastore lascia il gregge nell'ovile e poi va in giro di notte a cercare la pecorella smarrita". Don Camillo scosse il capo. "Sì, ma non c'è scritto che poi la pecorella, per ricompensarlo, gli dice le eresie che hai detto tu. Voi non siete delle pecorelle : siete una mandria di bufali. Io non sono venuto a dire la Messa alla vostra Casa del Popolo perchè c'era il Padreterno che vi cercava. Io sono venuto per aiutare voi a cercare Dio, per aiutarvi a ritrovarlo. Dio non ha bisogno di voi, siete voi che avete bisogno di Dio". "Io non avevo intenzione di offendervi" obiettò Peppone. "E neanche mi hai offeso" replicò duramente don Camillo. "Però hai fatto ben di peggio : hai offeso Dio!". Peppone fece un gesto d'impazienza. "Reverendo" esclamò "non ricominciamo la solita storia di buttare in politica tutto! Lasciamo stare la tattica del vittimismo! Non facciamo ragionamenti abulici!".
Don Camillo guardò preoccupato Peppone. "Cosa intendi per "ragionamenti abulici"?" domandò. Peppone si strinse nelle spalle. "Cosa intendo per ragionamenti abulici? E cosa volete che voglia dire? Ragionamenti abulici! Ragionamenti così, insomma!" concluse agitando le braccia. Don Camillo scosse il capo. "Se intendi dire una cosa di quel genere, allora "abulico" è un aggettivo che non va bene. "Abulico" significa..." Peppone fece un'alzata di spalle e lo interruppe : "Reverendo, l'importante è che ci si capisca! Non è il caso di fare delle discussioni di letteratura. Tanto, la letteratura è una porca faccenda che serve soltanto per imbrogliare le idee, perchè va a finire che uno, invece di dire quello che vorrebbe dire lui, dice quello che vuole la grammatica e l'analisi logica. E, a un bel momento, non ci capisce più dentro niente neanche quello che parla. Se io, porcaccio mondo, nei comizi potessi fare dei discorsi in dialetto, me la sbrigherei in metà tempo e difficilmente direi delle stupidaggini. Perchè, quando uno fa un discorso, prima di tutto bisogna che capisca lui quello che dice. Se io parlo come mi ha fatto mia madre capisco tutto quello che dico. Perchè, caro reverendo, mia madre mi ha fatto in dialetto, mica in italiano. Ma così, vigliacco mondo, va a finire che, dopo aver fatto un discorso, uno deve farsi spiegare da un altro quello che ha detto!".
"Adesso parli giusto" osservò don Camillo. "Lo so. E tutti parlerebero giusto se non ci fosse questa porca letteratura che complica sempre di più le cose. Perchè, se ci sono cento cose, ci devono essere duemila modi per dire queste cento cose? Ci sono i nomi scientifici, e va bene : quelli servono per gli specializzati. Ma gli altri debbono usare soltanto le parole che capiscono. Si fa un comitato di galantuomini di tutte le categorie, si piglia il vocabolario, si cancellano tutte le parole inutili e se uno, dopo, usa in pubblico qualcuna di queste parole proibite lo si prende e lo si schiaffa dentro come quelli che tentano di spacciare moneta falsa. I signori poeti si lamenteranno perchè non trovano più la rima? Noi gli risponderemo che facciano le poesie senza rima. Un povero diavolo ha almeno il diritto di sapere quello che dice. Perchè io ho parlato poco fa di discorsi abulici? Perchè io, questa sporcaccionata di parola, l'ho letta o sentita da qualche parte e, siccome si presenta bene, mi è piaciuta e mi è rimasta appiccicata al cervello". "Capisco, ma perchè l'hai usata se non la conoscevi che di vista?" "Non l'ho usata io! E' stata lei che ha usato me! Io volevo dirvi : "Non diciamo delle vaccate, reverendo!", e mi pareva, così, dall'aspetto, che "abulico" significasse sempre roba bovina ma detta in modo più pulito, più distinto. Più letterario insomma!".
Peppone era triste e sospirò : "Forse era giusto se dicevo "discorsi bucolici" invece che "discorsi abulici" ". Don Camillo scosse il capo : "In "bucolico" il bestiame c'entra molto di più che in "abulico". Però, nel senso di "discorsi a vacca" o "vaccate", il "bucolico" non funziona. Dai retta a me : anche quando parli nei comizi devi dire soltanto le parole che sai". "Il guaio è che ne so poche". "Anche se tu ne sapessi metà, basterebbero. Ha bisogno di molte parole chi deve mascherare la sua mancanza di idee o chi deve mascherare le sue intenzioni. Credi tu che Gesù Cristo adoperasse più parole di quante ne puoi adoperare tu? Eppure riusciva a farsi capire da tutti e abbastanza bene, mi pare".
Peppone si strinse nelle spalle e sospirò : "Altri tempi, reverendo. Altro tipo di propaganda!". Allora don Camillo cavò dal fuoco un mezzo travicello infuocato e lo brandì minaccioso. "O la pianti di bestemmiare, o ti vernicio a fuoco il muso. Se mi hai fatto venir qui per sentire le tue bestemmie, hai sbagliato indirizzo. Si può sapere una buona volta che cosa vuoi da me?". Peppone esitò un poco poi si rinfrancò : "Reverendo, qui bisogna sistemare la faccenda : quello che è detto è detto e poi ci sono delle ragioni speciali e indietro non si torna. Noi in chiesa non ci possiamo venire più. D'altra parte siamo gente battezzata. Quindi..." "Quindi?" "Ieri sera abbiamo fatto una seduta straordinaria. Non ne mancava neanche uno e abbiamo deciso di proporvi la carica di cappellano della sezione".
"Cioè?" "Cioè voi, la domenica, dovreste venire a fare una Messa speciale per noi. Diciamo una Messa di Partito".
Don Camillo lo guardò. "Io non faccio il barbiere" rispose. "Sono i barbieri che fanno il servizio a domicilio. Alla vostra Casa del Popolo io non ci metterò più piede vita natural durante".
"Non alla Casa del Popolo. Non si potrebbe neanche perchè ci sarebbero delle interferenze politiche. Voi verreste qui : sotto quelle tre tettoie ci stiamo tutti. Qui siamo in campo neutrale : la distanza da qui alla Casa del Popolo è uguale alla distanza da qui alla chiesa. Dio è dappertutto e quindi Lui resta dov'è e nessuno gli dà dei fastidi : ci muoviamo noi e ci incontriamo a metà strada. Gli uomini si muovono e il Padreterno sta fermo. Insomma : se la montagna non vuole andare a Maometto e Maometto non vuole andare alla montagna, Maometto e la montagna vanno tutt'e due all' "Anonima" e buonanotte suonatori".
Don Camillo si alzò. "Ci penserò" disse andandosene.
Peppone rimase solo vicino al fuoco che ardeva sotto la tettoia della vecchia fabbrica abbandonata. "Se il Padreterno non è un fazioso" pensò " deve capire che queste storie non le facciamo per lui". Poi pensò alla faccenda dell' "abulico" e sospirò. "Peccato dover rinunciare a una così bella parola. Quella, per esempio, la si potrebbe mantenere nell'elenco delle parole permesse".
In questo racconto viene affrontato esplicitamente il problema - serio e rilevante per Guareschi - del rapporto tra il servizio alla verità e la tirannia delle esigenze letterarie.
Peppone l'avverte come qualcosa di intrigante e addirittura di angoscioso. "La letteratura (egli dice) è una porca faccenda che serve soltanto per imbrogliare le idee, perchè va a finire che uno, invece di dire quello che vorrebbe lui, dice quello che vuole la grammatica e l'analisi logica"
"Adesso parli giusto" osservò don Camillo (che qui è senza dubbio portavoce dell'autore).
"Ha bisogno di molte parole (dice più avanti don Camillo) chi deve mascherare la sua mancanza di idee o chi deve mascherare le sue intenzioni".
La proposta di Peppone è di cancellare dal vocabolario tutte le parole che sono in più : ce ne sono troppe rispetto al numero delle cose da dire. Al momento egli non ci pensa, ma in fondo il suo è lo stesso parere di Gesù Cristo che ha detto :"Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 37).
Bisogna riconoscere che dal tempo di Guareschi nell'uso del linguaggio c'è stato perfino un peggioramento. Sicchè oggi l'inizio obbligato della nostra redenzione sociale sarebbe quello di cominciare a chiamare le cose soltanto con il loro nome, senza camuffamenti e senza quelle inutili prolissità che spesso finiscono coll'essere messe a servizio dell'ambiguità e della confusione.
E' per esempio strano (ma non tanto) che la famosa legge 194 - con la quale si è legalizzato e pubblicamente finanziato l'aborto - si intitoli con bella ipocrisia Legge per la tutela della maternità o che ci si dimentichi che, per indicare la convivenza more uxorio di due persone non sposate, la lingua italiana abbia già la parola "concubinato", senza che ci sia bisogno di perifrasi come "unioni di fatto" o "unioni affettive".